“Viva la libertà”… stranalibertà[..] Ed il più grande
Trama
Recensione
In verità io ho riscontrato pochissime aderenze con la realtà politico-sociale che attanaglia l’Italia in questo periodo – a meno che non si tratti di un reale “più reale del reale” inteso alla Vittorini - né tanto meno sono riuscito ad individuare la pretesa svolta del cinema italiano, ché anzi mi appare sempre più privo di idee originali e ripiegato su se stesso, sui suoi fasti passati (nel film si rievocano profusamente dall’oltretomba la commedia dell’arte all’italiana e Fellini). Non parliamo poi del suo preteso profetismo; il film, che è stato girato prima delle elezioni politiche, dava per scontato il trionfo del “maggiore partito di sinistra”, come suggerivano i sondaggi preelettorali, prevedeva una decisa vittoria di quel “maggior partito di opposizione” che nella realtà non c’è stata.
Purtuttavia, fosse anche solo per le musiche di Marco Betta e le straordinarie esecuzioni dei solisti Gilda Buttà, Luca Pincini, Leonardo Spinedi e Antonio Caggiano, non voglio dir male di questo lungometraggio, che, comunque, il suo fallimento è forse il suo più grande successo. La sua poeticità è tutta racchiusa nel grande vuoto che offre allo spettatore, vuoto di idee innovative, vuoto di visioni e soluzioni alternative, vuoto di riferimenti locali, vuoto colmato solo con la fuga, fuga ingenua in un altrove non ben definito – neanche il più ottimista dei commentatori potrebbe scambiare l’Italia rappresentata da Andò per quella vera – fuga impotente verso un altro cinema – quello francese; decisamente più vitale del nostro – fuga nostalgica alla ricerca di un ancoraggio nel passato. Non mancano, e anzi sovrabbondano, infatti citazioni dotte, come ad esempio lo stesso nome del fratello-filosofo Ernani, e momenti di alta poeticità, come quando il nostro Servillo/Oliveri/Ernani cita Bertolt Brecht con gli ultimi versi di “A chi esita”, intonando con voce stentorea dinanzi a migliaia di persone radunatesi per festeggiare in Piazza San Giovanni: “Siamo dei sopravvissuti, respinti via dalla corrente? Resteremo indietro, senza comprendere più nessuno e da nessuno compresi. O contare sulla buona sorte? Questo tu chiedi. Non aspettarti nessuna risposta oltre la tua”. Ma tutte queste citazioni all’interno dell’opera sbiadiscono, perdono la forza che le fece grandi e, a volte, si tramutano in grottesca farsa, come i sopracitati versi brechtiani che, inseriti nel contesto di una piazza che chiede risposte e soluzioni ad una politica sempre più avara sia delle une che delle altre, suonano come sberleffo, quasi a dileggio del popolo; mi chiedo infatti chi avrebbe mai applaudito lungamente, nella realtà, un simile intervento fatto da uno qualsiasi dei nostri leader politici e credo che l’esito sarebbe stato molto diverso. “Se i politici italiani sono mediocri, e perché i loro elettori sono mediocri, e se sono ladri e' perche' i loro elettori lo sono, o vorrebbero esserlo”, altra frase identica mia domanda; questa frase, uscita dal cilindro del folle professore di filosofia Ernai, mi ricorda oltretutto le esternazioni del linguista Tullio De Mauro che, frustrato nelle sue attese politiche così proruppe: “Più della metà degli italiani ha difficoltà a comprendere l’informazione scritta e molti anche quella parlata. Molti sono spinti a votare più con la pancia che con la testa.”, cosa che evoca un certo stanco e sdegnoso accademismo e anche il solito filone antiberlusconiano di cui nel cinema italiano è alfiere Nanni Moretti, col quale Roberto Andò sembra dialogare e persino rispondere alla sua celebre esortazione “di’ qualcosa di sinistra” mettendo in bocca ad Ernani questa risposta: “Il mio e' un messaggio agli italiani, siate onesti, smettete di tingervi”. Tutto questo citare, estrapolare, richiamare, ricorda un po’ – considerata anche la provenienza del regista – la figura di un Calpurnio Siculo o di un Nemesiano, entrambi stanchi e sbiaditi epigoni bucolici di Virgilio, in un contesto non certo povero di tecnica e di ars poetica ma totalmente privo di spunti originali, codificato e apparentemente immutabile. In buona sostanza, “Viva la libetà”, nella migliore delle ipotesi riesce un po’ come quelle eclogae che parlano di un mondo pastorale da lungo tempo estinto e fossilizzato, nella peggiore – continuando il parallelismo con la classicità; o meglio, la postclassicità – ricorda quei poeti che, stretti d’assedio dagli invasori barbari, cercavano di conservare il mondo classico verseggiando con lo stile dell’epoca ciceroniana, o per dirla più poeticamente, seguendo Verlaine, sembra dire: “Je suis l'Empire à la fin de la décadence,/Qui regarde passer les grands Barbares blancs/En composant des acrostiches indolents/D’un style d’or où la languer du soleil danse.”
Stranalibertà quella espressa dallo scrittore, sceneggiatore e regista palermitano; libertà che lascia un profondo senso di incompiuto, di vuoto impossibile da colmare, libertà di essere fotografi del nulla e del disfacimento di uno Stato, libertà di non potere avere altri mondi possibili se non le solite vie di fuga nel tempo e nello spazio. 15/04/2013 Armando Di Carloarmandodicarlo@virgilio.it |
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