L'eredità della Transavanguardia
A quanto pare, questa è la stagione degli anniversari della nascita di movimenti artistici, da celebrare in pompa magna con mostre faraoniche in ogni luogo d’Italia. Prima è toccato all’Arte Povera, adesso, visto che Bonito Oliva non poteva esser da meno di Celant, è il turno della Transavanguardia.
Ora, scrivere un articolo sul movimento di Sandro Chia mi è difficile: semplicemente le loro opere non mi piacciono. Non c’è nessun motivo ideologico e razionale, ma è qualcosa di stomaco e di pelle. Non nasce un’empatia tra la mia anima e le loro opere.
Probabilmente, più invecchio, più apprezzo un’arte onesta: un’arte che non promette nulla di più di quello che può dare. Ciò non avviene con la Transavanguardia. Per dirla papale, papale, i suoi artisti hanno recuperato e si può discutere all’infinito se fuori tempo massimo o con quali esiti, una visione soggettiva di matrice espressionista.
Con un’operazione di marketing audace ed efficace, a tale movimento sono stati attribuiti valori e significati che non gli erano propri.
Il primo, l’idea del recupero del fare pittorico: ora, benché negli anni Settanta nel panorama italiano spiccassero le installazioni dell’Arte Povera, tutti i protagonisti della Pop Art Italiana continuavano imperterriti a produrre, a sperimentare e vendere.
Il secondo, quello che Bonito Oliva ha definito il ritorno dell’arte
“ai suoi motivi interni, alle ragioni costitutive del suo operare, al suo luogo per eccellenza che è il labirinto inteso come ‘lavoro dentro’, come scavo continuo dentro la sostanza della pittura”
Ossia , tradotto per noi miseri mortali, si è affermato il collegamento tra la Transavanguardia e la tradizione pittorica italiana, in particolare con il Manierismo.
Paragone azzardato, a mio parere. Ora, sia la prima metà del Cinquecento, sia gli anni Ottanta del Novecento sono periodi di crisi intellettuale: tutte le ideologie che avevano sostenuto la visione del mondo delle generazioni precedenti entrano in crisi e risultano inadeguate a spiegare in maniera organica i mutamenti della realtà.
E gli artisti, in entrambi i casi, rispondono a tale crisi, citando, contaminando, esprimendo i turbamenti della propria soggettività: però la differenza tra i due movimenti artistici, al di là dei risultati estetici, è sostanziale.
L’artista manierista aveva la consapevolezza, a volte scettica, a volte tragica, poiché spesso non era soddisfatto o temeva l’esito dei suoi sforzi e delle sue ricerche, di esplorare e creare mondi. Consapevolezza che manca agli artisti della transavanguardia: figli del loro tempo e del postmoderno, sono prigionieri di un eterno presente, convinti dell’impossibilità che le cose mutino e che l’Arte possa mutare il mondo.
La sperimentazione della Transavanguardia aveva una dimensione ludica, non drammatica: e questa superficialità intrinseca non la rendeva capace di descrivere in profondità il peso di vivere dell’Uomo contemporaneo.
Per questo è stata un fuoco d’artificio, più che un movimento capace di incidere in profondità nell’Arte.
Quindi, quell’esperienza è tutta da buttare?
In realtà, l’arte digitale italiana, può guardare con interesse almeno tre idee di Achille Bonito Oliva di quell’epoca:
1. Genius loci: riscoperta delle radici locali e popolari di ciascun artista, che non vive in una torre d’avorio, ma nel mondo e per il mondo. Ciò implica il continuo dialogo con la tradizione ed il cotesto in cui si vive, da reinterpretare, anche polemicamente, e da considerare non come vincolo, ma come trampolino verso il futuro.
2. Ideologia del traditore: liberarsi da qualsiasi norma, ideologia o potere. L’artista deve essere anarchico, simile al tafano di Socrate assegnato dagli dei ad Atene, città simile un cavallo grande e nobile, ma pigro a causa della sua grandezza e bisognoso di essere svegliato. Questa è la funzione dell’artista: non smettere di stare appresso all’Uomo tutto il giorno e dovunque per stimolarlo, convincerlo e rimproverarlo. Farlo riflettere con le opere su cosa è e su cosa dovrebbe essere e su come mutare.
3. Passo dello strabismo: attenzione ai fenomeni laterali e inattesi: essere sentinella dell’alba ed esploratore, battendo sentieri nuovi e sconosciuti, non avendo paura di andar oltre alle certezze comuni tramite il paradosso.
Idee che possono portare alla rottura del loop del postmoderno e a ricominciare a proporre avanguardia.
03/12/2011
Alessio Brugnoli
brugnolialessio@gmail.com